CVRAE ARS
VIAGGIO NELLA BELLEZZA
Alcuni anni fa, in occasione dell'inaugurazione di una importante pinacoteca di arte sacra leccese, interloquendo con Giovanni Gazzaneo, direttore della rivista "Luoghi dell'Infinito" ci si poneva il quesito sul concetto di "arte sacra". Cosa, cioè, si intendesse con questo termine e se è vero che tutta l'arte, in quanto tale, può definirsi sacra.
Nel mio intervento ebbi a fare una precisazione: ritenevo, infatti, che tutta l'arte, di qualunque tempo e soggetto avesse in sè il carattere "sacro". Difatti, la definizione di "sacro" riguarda "ciò che è separato, è altro, così come sono separati dalla comunità sia coloro che sono addetti a stabilire con esso un rapporto, sia i luoghi destinati ad atti con cui tale rapporto si stabilisce". L'arte, quindi, essendo fondata sulla necessità comunicativa, che implica pertanto una relazione, è soggetta alle regole della reciprocità che, per se stesse, non possono appartenere all'individuo singolo. Fa parte di registri "altri", universalmente riconosciuti e stabiliti con delle norme che restano inviolabili anche quando apparentemente se ne mette in discussione la validità (un'opera che esce "fuori dalle regole", di fatto assurge a regola il non considerare valide le precedenti). Ciò detto, appare evidente che a voler considerare nel senso lato di "sacra" tutta la produzione artistica umana, quando si tratta di opere che riguardano il mondo trascendentale delle divinità, e, nello specifico delle Verità rivelate del Cristianesimo, occorre scegliere un altro termine. Io mi permetto di usare un neologismo: parlo di agioarte. Un'arte, cioè, che trasuda di divino e che non è solo estetica pura, ma in ogni tratto, in ogni scelta di colore, in ogni elemento compositivo esplica la dottrina di riferimento. E' il caso di Giovanni Gasparro, noto pittore pugliese, che ha fatto della pittura religiosa un manifesto e compendio di ciò che la Chiesa Romana ha sempre creduto. E ciò lo pone sulla scia dei grandi dei tempi antichi non solo per la ricercatezza del tratto in cui sembra rivivere la mano di Mattia Preti o di Luca Giordano, ma soprattutto per la capacità di dare forma e visione ai dettami cattolici. E ben si può notare ciò nel San Michele Arcangelo. Colpisce innanzitutto la contestuale giovinezza e maturità del volto angelico: la giovinezza del Paradiso e la maturità della giustizia. Da un fondo dorato che richiama i cieli bizantini, Michele si staglia con corazza e schinieri cerulei e gli pteruges dorati, riccamente ricamati. E' un'apparizione solare, come raggiante è l'aureola. E' lui, Michele, il portatore della Luce vera, della potenza divina, e non Lucifero, che nel nome conserva solo il ricordo del suo splendore per aver scelto le tenebre. Il San Michele di Gasparro è psicopompo: misura con la bilancia il peso delle anime. E le vediamo lì le anime, sui piatti della giustizia divina, non gaudenti o festanti, sicuri di una accoglienza assicurata e senza meriti tra i salvati, ma terrorizzati, sospesi nell'attesa del verdetto che resta terribile. Perchè il giorno del Giudizio (particolare o universale che sia) è Dies Irae. "Quanto tremor est futurus quanto judex est venturus", recita la sequenza di Tommaso da Celano. "Quem patronum rogaturus, cum vix iustus sit securus?" si chiede ancora l'anima del fedele. Ed il terrore sospeso del giudizio diventa speranza per l'anima che sale verso l'alto, e disperazione per l'anima che scende verso il basso. Una bilancia che non è retta dalla mano dell'arcangelo, ma fluttuante, quasi ad indicare che è solo Dio l'unico amministratore della Giustizia. Ed è qui il vero potere di Michele: "Quis ut Deus?" sarà il grido di battaglia contro Lucifero e le forze infernali. Michele nella sua potenza e bellezza ha nel suo nome la totale devozione e sottomissione a Dio, e questa sua essenza atterrisce l'Inferno più di qualsiasi spada. Il San Michele di Gasparro ha la lancia degli stessi colori della sua armatura. Sembrerebbe che la lancia altro non sia che l'arcangelo stesso che trafigge, col suo sguardo, il male. E i demoni infernali atterriscono dinnanzi a quello sguardo e si nascondono alla sua luce e alla sua bellezza. Il serpente antico, il drago, sono un guazzabuglio di figure informi e urlanti, che manifestano in tutta la loro disperazione il dramma di una eternità senza Dio. Questo è ciò che la Chiesa ha insegnato ai suoi fedeli in due millenni attraverso i suoi Concili e il suo Magistero. Giovanni Gasparro, l'agiopittore, lo scrive con colori e immagini imbevute di divino che lo portano ad assumere nella storia dell'arte il posto che egli merita e che, sin d'ora, gli viene universalmente riconosciuto.
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Agosto 2022
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