Lo sfregio della tomba del Beato Angelico alla Minerva perpetrato in queste ore è, al di là del danno materiale, fortemente simbolico. Uno sfregio ad uno dei rappresentanti di quell'Ordine che, strutturando la dottrina della Chiesa, ha contribuito a formare il pensiero e la morale dell'Europa. Ma anche uno sfregio ad uno dei maggiori esponenti del Rinascimento, dell'italianità più vera, della rivoluzione del linguaggio artistico in termini moderni. Il Beato Angelico è stato il protagonista di un mondo dove la Bellezza, la Ragione, il Pensiero e la Religione hanno forgiato un' italianità che ha reso questo Paese il capolavoro che tutti conosciamo. Non ci stupiamo se questi sfregi avvengono in un'epoca, la nostra, dove tutto ciò viene negato.
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![]() E' da qualche giorno stata resa nota una classifica che riguarda il numero di occupati nel settore culturale in Europa. Di questa notizia si è occupato Mario Di Cionno su Repubblica del 20 febbraio scorso analizzando i singoli dati. L'Italia, col suo 3,4% del totale di occupati nel settore si posiziona al 19° posto sui totali 28 Paesi, compreso il Regno Unito. L'analisi di Di Cionno poneva come premessa la constatazione del "paradosso" italiano: com'era possibile una percentuale così bassa in un Paese che più di tutti si distingue per opere artistiche, siti naturali e patrimonio culturale? Una domanda legittima che pone alcune riflessioni. Innanzitutto prima di analizzare nello specifico il dato italiano, concentriamoci per un attimo sul grafico in generale. Notiamo che i Paesi di grandi e antiche tradizioni artistiche e culturali (Francia, Grecia, Portogallo) sono tutti al di sotto del dato italiano. La Spagna si colloca prima dell'Italia, ma per un soffio. Al contrario, tralasciando per un attimo i Paesi del nord Europa, chi fa meglio di noi sono, manco a dirlo, Germania e Regno Unito. A farla da padrone sono paesi come l'Estonia, l'Islanda, la Norvegia, il Lussemburgo, la Svizzera, che pur avendo straordinarie culture e ampia stratificazione artistica, tuttavia non posseggono "numericamente" una quantità di siti culturali che possa paragonarsi a quella italiana. Da dove deriva questo assetto, dunque? Proviamo a fare un'analisi. Sembrerebbe che i Paesi da cui nei secoli si sia prodotto un movimento forte di inculturazione dell'Europa si stiano lentamente spegnando. Sembrerebbe che vi sia uno scollamento tra la gestione della cultura e la reale potenzialità che essa può offrire. Tale dato appare ancora più disarmante nei confronti dell'Italia in cui il Patrimonio culturale stride in maniera violenta con il dato indicato. A questo punto, una domanda è d'obbligo: siamo sicuri che il problema risieda solamente nella "cattiva gestione" del patrimonio? Oppure essa è diretta conseguenza di quanto tale patrimonio venga percepito a livello sociale e, quindi, economico? Appare evidente che il voler costantemente destrutturare la società antica per far posto a strumenti globalizzanti e speculativi non può far altro che disarticolare l'intero sistema culturale e abbassare il grado di "sentimento" civico dei luoghi. Assistiamo ad una continua ricerca del "nuovo" basato non sull'esempio, ma sull'imitazione, senza alcun contenuto di lunga visione. Qualunque progetto che non abbia una visione di prospettiva è forzatamente destinato a morire e quindi ha la necessità di essere supportato da un sistema che, alcune volte, si limita al clientelismo di poco conto, pronto solo a intercettare questo o quel capitolato di finanziamento per la realizzazione di un qualcosa della durata di pochi mesi, senza alcuna consistenza strutturale. Ci troviamo di fronte ad una gestione del patrimonio che non guarda alla vera potenzialità dei beni che sono, come ci diciamo ormai da decenni, irriproducibili e indelocalizzabili, ma punta solo al paradosso di vivere quotidianamente nell'emergenza di riuscire a coprire la cura ordinaria. Si vive in un sistema dove spesso le Istituzioni pubbliche considerano la cultura non un mestiere a tutti gli effetti, ma un hobby romantico alla portata del volontario di turno, pronto a imparare due paroline e utile a non pagare uno stipendio in più. Il Patrimonio culturale, che costituzionalmente è dello Stato, si perde poi in mille rivoli di competenze che ne disperdono le potenzialità, creando doppioni e sovrastrutture del tutto inutili. A questo quadro si aggiunge, poi, la mentalità secondo cui il mondo culturale non è un luogo lavorativo a tutti gli effetti. Tale mentalità è figlia di una volontà di modernizzazione, tipica degli anni '60/'70 che vedeva nell'industrializzazione la panacea del riscatto del passato, al seguito del "sogno americano", e che considerava tutto il patrimonio (culturale, artistico, naturale e tradizionale) come superabile e modificabile. Si è proceduto alla snaturalizzazione di interi sistemi culturali per emulare modelli basati sulle commistioni e "provocazioni" creando, di fatto, un vuoto e una crisi strutturale di fondo. Questo processo è comune anche ad altri Paesi e giustifica il motivo per cui solo Nazioni provenienti dall'Est o comunque legate alla cura della qualità civica e identitaria riescono a modulare un sistema capace di produrre economia della cultura. Dovremmo semplicemente riappropriarci delle nostre specificità, riappropriarci del genio che per secoli ha caratterizzato i nostri luoghi per permetterci di usare la cultura non come passatempo per professori in pensione, ma come strumento di crescita sociale, economica e civile delle nuove generazioni. C'è sempre un fatto che colpisce il viaggiatore durante i suoi percorsi. E molto spesso torna una domanda, quasi infantile, ma che nasconde in sè un certo sconcerto. Spesso a chi come noi si occupa di turismo e di cultura si chiede come sia stato possibile in passato, senza mezzi adeguati, in condizioni che oggi considereremmo disagiate, con un analfabetismo diffuso, riuscire a creare opere eccelse. Opere che noi oggi studiamo sui libri, che fanno parte di quel bagaglio culturale che una persona mediamente dovrebbe avere, e che riescono a superare i secoli. E ciò vale non solo per le opere d'arte, ma per tutte quelle attività dell'ingegno umano che hanno portato a "modellare" la natura senza violentarla, creando dei paesaggi che hanno permesso alla nostra nazione di fregiarsi del titolo di "Bel Paese".
Di contro, tutta questa meraviglia sembra perdersi in un attimo alla vista di una società che riesce a creare solo brutture, dove la richiesta culturale si abbassa vertiginosamente e dove molti sembrano essere refrattari a quanto di bello ci circonda ripiegandosi su una realtà immaginaria in cui il monumento o il paesaggio è solo il pretesto per scattarsi un selfie . Di fronte a tale scompenso, occorre quindi ripartire dal primato della bellezza come primato sociale. Per mezzo secolo le nostre città, i nostri borghi, sono stati soffocati da enormi palazzoni di cemento armato, senza identità, capaci solo di destrutturare il sistema sociale che i paesi e le città d'Italia hanno avuto per secoli. Nei quartieri periferici non vi è più quella bellezza umana, fatta di condivisione sociale ed emozionale che caratterizzava i quartieri popolari del passato. Ecco, quindi, che diventa urgente riappropriarsi della bellezza per riappropriarsi della nostra umanità. Non importa dove si vive o se si ha la possibilità di viaggiare. Ogni piccolo angolo d'Italia conserva delle specificità che lo rendono unico, custode di tesori d'arte incredibili, che non possono, a differenza dei comparti industriali, essere riprodotti in serie o delocalizzati. Su questa bellezza occorre investire seriamente lasciando da parte gli interessi dei pochi a favore della crescita sociale dei molti. Occorre che le Amministrazioni pubbliche abbiano una visione oculata e competente per garantire che ciò che si è prodotto per secoli non si distrugga per incuria o, peggio, per ignoranza. Non è più possibile lo sperpero di somme anche ingenti da parte di Enti Locali per finanziare azioni che lasciano il tempo che trovano senza poter avere una progettazione di ampio respiro che miri alla fruizione del patrimonio artistico e paesaggistico da parte di tutti. La bellezza, infatti, è anche strumento di crescita sociale, di sviluppo civico, di legalità. Non è accettabile che si parli di arte, di cultura, e di accoglienza e paradossalmente si propongano azioni premianti nei confronti dell'abusivismo e della violazione della norme. Bisogna comprendere che l'arte e la cultura hanno il compito primario di rendere uomini migliori e quindi generare un'economia equa, a misura d'uomo, che basandosi sul grande patrimonio della tradizione italiana garantisce qualità ed eleganza. E' impegno di tutti e di ciascuno educare ed educarsi alla bellezza, perchè solo attraverso essa è possibile un nuovo rinascimento che possa permettere all'Italia di essere ancora il Paese più bello del mondo. |
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Agosto 2018
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